Accolti con balli e canti

Viaggio di condivisione del 2005

E’ stata la nostra volta in Africa di Elena e la mia; lo scorso anno siamo rimasti a Mkongo soltanto qualche giorno vivendo tutte le novità incontrate senza consapevolezza, troppe persone per ricordarsi di ognuna di loro, troppi colori per apprezzarne le sfumature, troppi odori per distinguerne la provenienza. Quest’anno è stato diverso, sapevamo cosa ci aspettava: la gioia dei bambini al nostro arrivo che ti vengono incontro con i visini rossi di polvere, i vestiti laceri ed imbrattati ed i piedini scalzi, il villaggio in festa che ti accoglie con tutto l’affetto immaginabile e pende dalle tue labbra quando dici che sei contento di essere li con loro e che non pensavi di avere così tanti amici. La consapevolezza che l’anno passato siamo venuti per un misto di curiosità e pietà umana ma quest’anno per un impegno preso con chi ci ha raccontato dei suoi problemi ed ha saputo ascoltare i nostri, con chi ci ha mandato per Pasqua e per Natale, con chi ha condiviso l’ultimo pugno di riso rimasto nel sacco o ha messo in pentola l’unico pollo del pollaio, proprio come si fa tra amici. L’amicizia , una parola così abusata nella nostra cultura e così vera e sentita in questo paese dell’Africa dove la gente più che voler essere aiutata vuol essere considerata, conosciuta, apprezzata, incoraggiata; sì, incoraggiata perché non è facile vivere dove la malaria si “taglia a fette”, l’acqua si nasconde nelle viscere della terra e l’aspettativa di vita è di 40 anni; c’è bisogno di coraggio la mattina quando ti alzi e la pancia brontola già per la fame ed ecco allora che una parola buona, un “habari za asubuhi” (che notizie porti stamattina , l’equivalente del nostro buongiorno) diventa un modo per dire “coraggio fratello/sorella oggi non sei più solo facciamo qualche passo assieme”; in quei momenti pensavamo di essere la loro stampella, la loro oasi, la loro speranza, ma tornando a casa ci siamo resi conto che siamo stati ancora una volta più fortunati di loro perché abbiamo imparato ad ascoltare il prossimo, a non evitare la nonna vedova che ti racconta di quanto fosse buono e giusto il suo defunto consorte, a far parlare il ferroviere quando si arrampica sugli specchi per un treno che è inspiegabilmente in ritardo, a prendere un caffè con il collega che non dorme perché la moglie è lontana e non è abituato a stare senza anche se il capo ti chiede un lavoro per ieri; ebbene sì cara Africa è un triste destino quello che ti costringe a dare molto di più di quello che ricevi.

Viaggio di condivisione del 2008

Stamattina, dopo la Messa, leggendo il giornalino parrocchiale che prendiamo ogni settimana in chiesa, abbiamo avuto ancora una volta modo di riflettere sul valore ed il significato del tempo.
Mons. Mtega, arcivescovo della Diocesi di Songea- Tanzania, qualche anno fa ci disse: “In Africa il tempo lo si crea, nel mondo occidentale lo si usa”.
Father Phil, parroco a St. Theresa ( Houston, Texas), apre la riflessione del giornalino settimanale con una provocazione:  “Ti domandi mai per che cosa cerchiamo di guadagnare tutto questo tempo?”.
Siamo negli Usa da un anno e viviamo una realtà quasi surreale, dove per prendere un caffè non importa più nemmeno scendere dalla macchina ma semplicemente parlare ad un microfono, strisciare una carta di credito e vedersi recapitare da una “mano” un bicchiere di carton-plastica con tanto di coperchio in modo che tu possa bere mentre guidi: il famoso “drive-through”. Stessa cosa per la farmacia, la lavanderia, il fast food ecc. Al supermercato se compri meno di 12 prodotti puoi usare le casse automatiche dove al massimo senti un computer che ti parla dandoti istruzioni su cosa fare e tu non puoi neanche dire Buongiorno o Arrivederci, non capirebbe e sarebbe comunque inutile, una “perdita di tempo”.
In Tanzania, nel villaggio di Mkongo, dove abbiamo avuto la possibilità di andare per ben tre volte, il giorno dell’arrivo degli “amici bianchi” di Neema è preparato bei dettagli. Quando si arriva siamo accolti con balli e canti da tutto il villaggio per ore ed ore. Con ogni persona che incontri devi spendere almeno 5 minuti che è la durata minima di un saluto (come stai? Come stanno i familiari? I familiari dei familiari? Ed almeno 5 o 6 karibu, asante).
A Mkongo non c’è mai fretta per niente, non c’è scadenza da rispettare, nemmeno per le comunioni che il parroco ha già organizzato da tempo. Si possono rimandare di qualche giorno, perché magari il parroco ha avuto un imprevisto oppure ospiti che lo hanno impegnato a lungo, oppure si è bucata la gomma ed, essendo quella l’unica macchina del villaggio, le comunioni si rimandano. Le persone aspettano, aspettano ed aspettano e se poi nessuno arriva vorrà dire che verrà il giorno dopo, vorrà dire che aveva un buon motivo per non arrivare. Non ci sono penali da pagare per “mancata cancellazione entro i termini” né rancori da portare verso nessuno. Quando qualcuno ti da un appuntamento ad una certa ora, è sempre un orario indicativo, può essere un paio d’ore prima come due o tre ore più tardi oppure tranquillamente il giorno dopo.
Lo scopo di questo messaggio non è individuare quale è il ritmo giusto o sbagliato per vivere bene il nostro tempo, probabilmente stiamo parlando di due facce della stessa medaglia. Vogliamo solo condividere una riflessione che ci viene rafforzata dall’aver fatto entrambe le esperienze anche se in modalità diverse. Il tempo, in quanto limitato, è sicuramente la risorsa più “preziosa” che abbiamo. Non si può comprare, scambiare, riciclare o recuperare e per questo abbiamo il dovere di pensare a come utilizzarlo al meglio. Non è importante di per sé guadagnare o perdere tempo, l’essenziale è esserne consapevoli.

Alessandro ed Elena