La mia unica certezza è di essere stata amata

Viaggio di condivisione del 2018

L’Africa subsahariana , per chi non lo sapesse, è una terra estremamente fertile. Non mi riferisco ai miracoli agricoli che accadono durante la stagione delle piogge, che ci sono stati soltanto raccontati e non abbiamo avuto il privilegio di vedere, ma alla semina silenziosa che cade inconsapevolmente sui suoi visitatori in qualunque stagione, i quali dopo un vuoto apparente si sentono come rigogliosi nell’animo e nel cervello, parte di un processo lento, come la botanica e i ritmi dell’Africa in generale. Questa è la sensazione di chi torna da un’esperienza come la mia.
Il viaggio è iniziato ad essere reale solo oltrepassando l’aeroporto di Dar Es Saalam: una traversata in pulman che assomiglia di più ad un infinito film muto, fatto di bambini che escono dalle baracche in camicia e pantaloni correndo verso la scuola, giovani ragazze lasciate sole nel mezzo del nulla a pascolare le mucche, Masai che camminano dritti sul ciglio della strada con le loro vesti rosse, e molte altre immagini complesse e veloci. Sebbene sia lungo e snervante, quando lasci l’asfalto e inizi a vedere il paesaggio filtrato dalla terra rossa, ti rendi conto che ne è valsa la pena.
La prima sensazione avuta arrivando al villaggio di Mkongo Nakawale è stata di estrema curiosità e di accoglienza, ancor prima che qualcuno mi dicesse “Karibu!” (benvenuta), e un’impressionante fiducia in noi, frutto di diciotto anni di collaborazione incessante con gli abitanti e le loro necessità; l’aspetto del villaggio è ciò che mi ha convinto, dato che l’associazione è riuscita a far convivere condizioni di vita migliori (costruzioni in mattoni, scuole e un dispensario) senza deturpare il paesaggio con qualche folle idea occidentale, perché è il prodotto della volontà e del lavoro della comunità.
I giorni che passano sono una continua scoperta, un cammino incessante per mano ad uno straniero, che questa volta ero io! Inizialmente tendevo a idealizzare questi uomini e donne forti, sorridenti, autentici in modo antico e con quella saggezza che deriva dalla mancanza di beni necessari, ma è importante ricordare che sono uomini, non creature diverse, fratelli da aiutare e comprendere ad ogni costo. La loro lingua così diversa, lo swahili, le loro abitudini regolate dalla luce del sole e la libertà che viene data ai bambini ti fanno subito innamorare di questo popolo in difficoltà.
I momenti emozionanti sono stati tanti: svuotare le valigie piene di medicinali, trasportare insieme la terra e i mattoni per la nuova falegnameria, giocare con i bambini, i più curiosi di tutti, assistere alle visite mediche, distribuire latte e biscotti all’asilo, decidere i progetti, investire i nostri soldi nei materiali per la scuola professionale di sartoria, falegnameria e muratura e fare amicizia con alcuni dei meravigliosi studenti.
Non eravamo lì per fare “tanto”, non lavoravamo tutto il giorno ed è stato difficile da accettare, ma non eravamo neanche sostituibili con dei container pieni di oggetti. Il bisogno di risorse che hanno è equivalente a quello di dialogare, cercare un contatto nella diversità, persino nutrire affetto in questo scambio culturale così ricco e genuino.
Pensano che noi, in occidente, abbiamo tutto, ma eravamo i primi bisognosi di questi rapporti umani, di osservare la loro vita semplice resa forte dal senso di comunità e dalle poche risorse a disposizione.
Volevo aiutarli e spero di averlo fatto, ma ora la mia unica certezza è di essere stata amata e aiutata a vedere la realtà con colori diversi, più vividi, forse gli stessi con i quali amano vestirsi.
Non esiste ringraziamento che possa rendere giustizia all’ospitalità e alla gentilezza provate sulla nostra pelle, ma mi rivolgo specialmente a Sesilia , Angelica, Jordan, Renata e Baba Erik per averci offerto con premura tutto ciò che potevano darci, ancor prima di conoscerci e senza chiedere nulla in cambio. Niente di tutto questo verrà dimenticato.

Asante sana

Alice