Primo viaggio in Tanzania

Viaggio di condivisione del 2015

Quest’estate alcuni responsabili dell’Associazione Neema sono partiti per il villaggio di Mkongo Nakawale, Tanzania. È un viaggio che hanno già affrontato altre volte, e ormai conoscono bene i luoghi, i volti e le necessità di questa terra che dista 6000 km dall’Italia. Stavolta però, a Giuseppe ed Enzo (associazione Neema) e a Don Roberto (parroco di Sant’Andrea Corsini) sono stati affiancati due giovani del Corso Missionario della Diocesi di Fiesole, Letizia e Rinaldo e due giovani della parrocchia di Sant’Andrea, Francesco ed io, Eleonora. Noi quattro invece siamo alla prima esperienza. Personalmente, era almeno una decina di anni che sognavo di andare in missione. In tutto questo tempo avevo formulato migliaia di ipotesi su come potevano essere i luoghi dove associazioni e volontari operano per migliorare le condizioni di vita di persone che vivono lontano dai paesi sviluppati, in situazioni ben diverse dalle nostre. Quando mi è stata proposta questa esperienza ero a dir poco entusiasta di partire, ma con l’avvicinarsi della partenza cominciavano a formarsi nella mia mente centinaia di dubbi: “sarò pronta per questo tipo di viaggio? Come potrò aiutarli laggiù? Come dovrò comportarmi nelle varie situazioni?”.

Finalmente il 2 agosto arriviamo a Dar Es Salaam e l’avventura comincia: in aereo non ho chiuso occhio e continuo a rimuginare su quanto ci aspetta nel prossimo mese. Usciti dall’aereoporto incontriamo Baba (padre) Eric, lo straordinario parroco di Mkongo. Dire che è straordinario è riduttivo, è una persona veramente saggia, disponibile, accogliente e generosa che con una macchina prestatagli da un suo amico ci porta al suo villaggio, distante da Dar circa 1000 km, cioè due giorni di viaggio in auto. Arrivati a destinazione nel tardo pomeriggio del 4 agosto (essendo inverno era già buio), troviamo diversi rappresentanti e responsabili della parrocchia e dell’intero villaggio insieme ad un centinaio di bambini – alcuni curiosi, altri proprio spaventati!- che ci accolgono cantando la canzone da cui l’associazione prende nome (Neema, appunto, che significa grazia del Signore). Emozionatissimi, assistiamo alla loro presentazione e ci presentiamo a nostra volta, tutto con l’aiuto di Baba Eric, l’unico a conoscere sia lo swahili che l’italiano. Molte persone erano curiose di vedere noi “wazungu” (uomini bianchi) e per molti bambini era la prima volta che vedevano qualcuno con il colore della pelle diverso dal loro, ma hanno capito subito che non c’era motivo di temerci, tanto che poco dopo ognuno di noi teneva tre manine per ciascuna mano! Poi quando hanno scoperto le nostre macchine fotografiche ogni momento era buono per chiedere una foto, e questo bastava a renderli felici. Dal primo giorno a Mkongo e fino a quando siamo tornati in Italia, i nostri carissimi amici africani non hanno perso occasione per farci sentire “accolti”.

Ammetto però che tutta questa gioia nell’incontrarci oltre a rendermi molto felice mi ha anche messo un po’ in imbarazzo: mentre loro festeggiavano il nostro arrivo e la nostra presenza lì, noi ammiravamo loro perché nonostante le complicate condizioni in cui vivono sanno sempre trovare il modo per sorridere ed affrontare la vita giorno dopo giorno, sopravvivendo con quel poco che hanno. In più, pensando al mondo “moderno” che per un mese ci siamo lasciati alle spalle, ho notato come davvero la loro vita sia più povera ma più vera: gli unici valori che contano lì sono la famiglia e l’unità tra gli abitanti del villaggio, a prescindere dalla fede religiosa, cristiana o musulmana. Un’altra cosa che mi è piaciuta molto è vedere come nessuno resta solo: a prendere l’acqua al pozzo (l’unico del villaggio) si va almeno in due, alle feste si va a piedi ma in gruppo, il vicino di casa accompagna un anziano cieco al dispensario distante chilometri da dove abitano… . Porterò sempre nel cuore i momenti in cui abbiamo consegnato al dispensario le apparecchiature mediche e alle suore quaderni e matite per le scuole: i volti del medico, delle suore indiane e degli infermieri brillavano di gioia, noi – se possibile – eravamo più felici di loro. Ma la cosa più bella è stata dedicare una parte dei soldi (che noi giovani avevamo raccolto con un autofinanziamento) all’acquisto di un materasso e un cuscino per un ragazzo gravemente disabile che per mantenere se stesso e la madre riparava biciclette e che fino ad allora dormiva su una stuoia (come del resto fanno tutti gli abitanti del villaggio…). Prima di partire abbiamo voluto lasciare ai nostri amici di Mkongo una parte dei nostri vestiti, e, personalmente, mi ha fatto veramente piacere sapere che alcune delle mie magliette e felpe sono state destinate a questo ragazzo così bisognoso. Nel periodo in cui siamo stati li, abbiamo visto quanto l’Associazione Neema ha fatto per il villaggio, abbiamo cercato di dare una mano nei progetti in corso e stabilito con loro quelli da intraprendere. Nonostante sia già stato fatto molto per loro, ogni giorno si presentano nuove problematiche che potranno affrontare solo con il nostro aiuto! Il nostro impegno è stato massimo e costante come lo sarà in futuro, con l’augurio che sempre più persone si aggiungano al nostro impegno.

Eleonora F.