Francesca

Francesca

I primi giorni in Tanzania sono stati per me uno schiaffo dopo l’altro

Viaggio di condivisione del 2018

È difficile mettere nero su bianco quella che per me è stata una delle più travolgenti esperienze mai fatte, ma credo sia egoistico e anche ingiusto tenere solo per me quello che questo piccolo angolo di mondo mi ha regalato. Quindi provo, anche se le mie parole non saranno tanto all’altezza, a raccontare Mkongo.
Anche se ho solo venti anni, era da un po’ che mi incuriosiva la realtà missionaria; non per la pretesa di cambiare il mondo, ma per il semplice desiderio di avere nuovi occhi con i quali affrontare il mio quotidiano.
I primi giorni in Tanzania sono stati per me uno schiaffo dopo l’altro. Come si può rimanere indifferenti a questa povertà? Vedi quelli che sono i tre “nemici” che Nyerere, il fautore dell’indipendenza tanzaniana, diceva di dover combattere: l’ignoranza, la malattia e la povertà. Già in Italia sapevo di essere nata dalla parte fortunata della terra, ma viverlo ti porta ad una consapevolezza diversa e, soprattutto, a prenderti delle responsabilità.
Quanto poco ha questa gente, ma quante cose ti regala! Ho riscoperto il vero valore di comunità. Il mettere al primo posto il NOI rispetto al mio solito io. Ho incontrato persone che testimoniano con la loro vita il più sacro dei comandamenti: l’amore.
Come Baba Erik, parroco del villaggio, che pensa prima alla persona che al cristiano e che incarna pienamente la figura del pastore. O Renata, preside della scuola professionale “Veta” di Mkongo, che dedica la sua vita ai giovani, con la premura e la dolcezza di una mamma. E più importante, ho trovato degli amici. Come le ragazze della scuola Veta, con cui abbiamo passato gran parte del nostro tempo e che ora abitano un pezzettino del mio cuore.
Condivido il pensiero di Neema circa il modo di gestire i progetti in Tanzania. Di non comportarsi da colonialisti, andando a Mkongo e costruendo autonomamente quello che si crede più opportuno, ma di camminare insieme a questo popolo, di aspettare le loro richieste e di spronarli a metterci del loro. Di sentire loro i progetti e, insieme, di provare a migliorare il villaggio.
Tornata  in Italia ho capito che la mia missione è qui: è qui che devo raccontare quello che ho visto e cercare, nel mio piccolo, di cambiare questo presente. Ed è qui che devo essere testimonianza dei valori che ho riscoperto da questo popolo. Non mi dimenticherò questa terra rossa, non rimarrò indifferente all’odio per il diverso che si sta diffondendo nel nostro paese; perché in Tanzania ero io la straniera e sono stata accolta. Ed anche se di motivi per avercela con noi bianchi ce ne sono anche troppi, mi sono sentita prendere per mano e travolgere da un amore immenso.
Ero straniero e mi avete accolto.

Francesca

Irene

Irene

L’Africa è un po’ così: come il ciclone, che parte, prende e ti porta via

Viaggio di condivisione del 2018

Difficile dire cosa sia stata per me l’Africa.
Quando ti chiedono di raccontare o non dici nulla o parti e racconti tutto.
Perché l’Africa è un po’ così: come un ciclone, che parte, prende e ti porta via. Volendo però concentrare in poche righe la mia esperienza, cercherò di far emergere le sensazioni e le emozioni che vengono a galla dal mio cuore.
Ti ritrovi con i piedi in quella terra rossa, circondata da bambini che ti prendono per mano e ragazzi che ti guardano negli occhi. La terra rossa penso sia espressione di quel continente, dove ogni fatto, ogni relazione che instauri con le altre persone si fa, non so per quale motivo preciso, più intensa, più autentica, più toccante. Ti ritrovi con un bambino per dito e quel dito te lo tengono come se fosse per loro la cosa più preziosa, qualcosa da curare, da custodire, che certo non capita loro tutti i giorni. Mi ricordo le parole di Patrizia che un giorno ha detto:- Questi bambini si divertono con nulla-. Ed è proprio vero: per farli ridere basta un po’ di solletico sulla pancia o far provare loro il volo volo.
E poi i ragazzi che ti guardano negli occhi. Che espressione di vita intensa, consapevole che ti fanno sperimentare. Specie se sei adolescente come loro e riconosci quel grido alla vita che si sprigiona da dentro. Riconosci i loro desideri, i loro bisogni irrefrenabili, la voglia di fare e di tessere legami, la quale con forza immane spinge da dentro per emergere.
Grazie Africa per avermi fatto capire ciò che se fossi stata a casa mi sarebbe stato difficile: per avermi fatto comprendere come si affronta la diversità e poco dopo ci si accorge che è enorme ricchezza, per avermi reso grata per l’immensità di piccole cose eppure preziose che abbiamo la possibilità di avere, per avermi reso pienamente consapevole che con la voglia di fare puoi veramente fare della tua vita quello che vuoi.
Penso che resterà sempre una piccola parte di me che quando ce ne sarà bisogno mi indirizzerà ancora verso quella grande parte del mondo ridimensionando automaticamente e arricchendo inconsapevolmente quello che vivo ogni giorno qua.

Asante

Irene

Alice

Alice

La mia unica certezza è di essere stata amata

Viaggio di condivisione del 2018

L’Africa subsahariana , per chi non lo sapesse, è una terra estremamente fertile. Non mi riferisco ai miracoli agricoli che accadono durante la stagione delle piogge, che ci sono stati soltanto raccontati e non abbiamo avuto il privilegio di vedere, ma alla semina silenziosa che cade inconsapevolmente sui suoi visitatori in qualunque stagione, i quali dopo un vuoto apparente si sentono come rigogliosi nell’animo e nel cervello, parte di un processo lento, come la botanica e i ritmi dell’Africa in generale. Questa è la sensazione di chi torna da un’esperienza come la mia.
Il viaggio è iniziato ad essere reale solo oltrepassando l’aeroporto di Dar Es Saalam: una traversata in pulman che assomiglia di più ad un infinito film muto, fatto di bambini che escono dalle baracche in camicia e pantaloni correndo verso la scuola, giovani ragazze lasciate sole nel mezzo del nulla a pascolare le mucche, Masai che camminano dritti sul ciglio della strada con le loro vesti rosse, e molte altre immagini complesse e veloci. Sebbene sia lungo e snervante, quando lasci l’asfalto e inizi a vedere il paesaggio filtrato dalla terra rossa, ti rendi conto che ne è valsa la pena.
La prima sensazione avuta arrivando al villaggio di Mkongo Nakawale è stata di estrema curiosità e di accoglienza, ancor prima che qualcuno mi dicesse “Karibu!” (benvenuta), e un’impressionante fiducia in noi, frutto di diciotto anni di collaborazione incessante con gli abitanti e le loro necessità; l’aspetto del villaggio è ciò che mi ha convinto, dato che l’associazione è riuscita a far convivere condizioni di vita migliori (costruzioni in mattoni, scuole e un dispensario) senza deturpare il paesaggio con qualche folle idea occidentale, perché è il prodotto della volontà e del lavoro della comunità.
I giorni che passano sono una continua scoperta, un cammino incessante per mano ad uno straniero, che questa volta ero io! Inizialmente tendevo a idealizzare questi uomini e donne forti, sorridenti, autentici in modo antico e con quella saggezza che deriva dalla mancanza di beni necessari, ma è importante ricordare che sono uomini, non creature diverse, fratelli da aiutare e comprendere ad ogni costo. La loro lingua così diversa, lo swahili, le loro abitudini regolate dalla luce del sole e la libertà che viene data ai bambini ti fanno subito innamorare di questo popolo in difficoltà.
I momenti emozionanti sono stati tanti: svuotare le valigie piene di medicinali, trasportare insieme la terra e i mattoni per la nuova falegnameria, giocare con i bambini, i più curiosi di tutti, assistere alle visite mediche, distribuire latte e biscotti all’asilo, decidere i progetti, investire i nostri soldi nei materiali per la scuola professionale di sartoria, falegnameria e muratura e fare amicizia con alcuni dei meravigliosi studenti.
Non eravamo lì per fare “tanto”, non lavoravamo tutto il giorno ed è stato difficile da accettare, ma non eravamo neanche sostituibili con dei container pieni di oggetti. Il bisogno di risorse che hanno è equivalente a quello di dialogare, cercare un contatto nella diversità, persino nutrire affetto in questo scambio culturale così ricco e genuino.
Pensano che noi, in occidente, abbiamo tutto, ma eravamo i primi bisognosi di questi rapporti umani, di osservare la loro vita semplice resa forte dal senso di comunità e dalle poche risorse a disposizione.
Volevo aiutarli e spero di averlo fatto, ma ora la mia unica certezza è di essere stata amata e aiutata a vedere la realtà con colori diversi, più vividi, forse gli stessi con i quali amano vestirsi.
Non esiste ringraziamento che possa rendere giustizia all’ospitalità e alla gentilezza provate sulla nostra pelle, ma mi rivolgo specialmente a Sesilia , Angelica, Jordan, Renata e Baba Erik per averci offerto con premura tutto ciò che potevano darci, ancor prima di conoscerci e senza chiedere nulla in cambio. Niente di tutto questo verrà dimenticato.

Asante sana

Alice

Lisa

Lisa

L’essere umano ha una capacità meravigliosa: aiutare

Viaggio di condivisione del 2017

L’essere umano ha una capacità meravigliosa: aiutare.
Vorrei riflettere su quanto sia importante conoscere, entrare in contatto con persone, con abitudini, storie ed usanze diverse dalle nostre.
La diversità è una ricchezza: è bello vivere nuove esperienze, imparare a confrontarsi con culture distanti dalla propria, possibilmente divertendosi.
Credo che sia semplicistico giudicare determinate situazioni senza averle vissute, senza essersi sforzati di aprire soltanto un occhio di fronte a certe immagini, a certe persone. Proprio per questo ritengo sia fondamentale che sin da giovani i ragazzi sviluppino una propria idea, cerchino di collaborare, di essere aperti e disponibili nei confronti degli altri e della società.
Credo che non si smetta mai di meravigliarci e di imparare; certe esperienze sono necessarie per apprezzare ciò che possediamo e per renderci conto di quanto siamo fortunati ad avere cibo, acqua corrente ed elettricità a disposizione.
Ho deciso di partire per l’Africa qualche anno fa, quando, vedendo video e immagini, ho iniziato a sentire il bisogno di vivere questa esperienza. Ho sognato varie volte il momento in cui mi dicessero “Lisa allora si parte!”.
E così un giorno questa frase è stata detta per davvero e io sono diventata la persona più felice del mondo.
Sognavo di andare in Africa come viaggio di maturità e così è stato.
Senza l’aiuto del corso organizzato da “Missio Fiesole”, senza “Neema” e senza l’aiuto dei miei genitori, sicuramente questo viaggio non sarebbe stato possibile e proprio per questo motivo non smetterò mai di ringraziare ognuno di loro.
Sono partita per la Tanzania e ho trascorso presso il villaggio di “Mkongo” tre settimane.
Arrivati in Tanzania abbiamo trovato soltanto persone gentili, disposte ad andare a prendere l’acqua lontano chilometri per farci sentire a casa, persone che volevano a tutti i costi cucinare per noi e servirci, ragazze che ogni volta spazzavano la nostra stanza e ci chiedevano se avevamo bisogno di qualcosa.
Un’altra nostra grande fortuna è stata quella di avere con noi Baba Erik, una persona d’oro dotata di gentilezza e intelligenza impensabile. Assieme a lui voglio ricordare Renata, una donna meravigliosa che cucina benissimo, sempre col sorriso sulle labbra. Insieme a tutti i bimbi del villaggio, nel mio cuore porto in modo particolare Elias, il bimbo a cui mi sono affezionata maggiormente e che spero di rivedere al più presto.
Durante il nostro soggiorno abbiamo avuto la possibilità di trascorrere del tempo nel dispensario, una sorta di ospedale dove le persone si recano per fare accertamenti in caso di scarsa salute o semplicemente dove il lunedì mattina le mamme si recano per fare vaccinare i loro bambini.
Abbiamo visitato il convento delle suore, molto curato e trattato anche nei minimi dettagli. Le suore sono gentilissime, sempre sorridenti e disponibili a venirci incontro Per qualsiasi bisogno.
Siamo stati a visitare la loro scuola, andando a portare matite, pennarelli, astucci e quaderni ai bambini.
Impossibile scordare il loro sorriso di fronte ad una nuova matita.
Abbiamo trascorso del tempo con i muratori, abbiamo imparato con loro a fare la calcina e a posizionare i mattoni per costruire i vari edifici. Nonostante siano privi di tecnologia, non si può dire che non siano capaci di cavarsela ugualmente! È veramente curioso vedere come la mente umana riesce sempre a trovare la giusta soluzione, l’idea più appropriata per svolgere le cose al meglio.
Abbiamo trascorso molto tempo con i bambini del villaggio, abbiamo giocato molto con loro: basta un fazzoletto, una pallina o semplicemente il proprio corpo per formare un enorme gruppo di persone che giocano spensierate e si divertono insieme.
Non hanno giochi ma tanta voglia di giocare: si divertono con i sassi, con palline di carta, si divertono a correre, a saltare e cantare, non hanno un telefono di ultima generazione ma hanno tanta voglia di stare insieme, costruire montagne di legnetti, muovere quelle gonnelline che hanno addosso o giocare con i cagnolini che corrono liberi nel villaggio.
Con un pomodoro e un po’ di fagioli mangia una famiglia intera, vivono in case fatte di mattoni o di fango e il loro tetto è spesso costruito con la paglia. La cosa straordinaria di queste persone è la forza.
Gli abitanti di Mkongo sono “poveri” di fronte ai nostri occhi ma sono veramente ricchi di sentimenti e di capacità di trasmettere a noi il doppio di quanto noi riusciamo a dare a loro con le cose materiali.
Sono persone capaci di essere felici per ciò che hanno.
Probabilmente noi siamo più evoluti, ma talvolta siamo talmente tanto avanti da dimenticare ciò che invece è semplicissimo e fondamentale: la capacità di dare un abbraccio, di dire “grazie” o semplicemente di fare un sorriso a chi ne ha bisogno.
Quando parlo di integrazione e di scambio intendi dire proprio questo: un confronto, un’integrazione di mille colori per comporre tutti insieme un bellissimo arcobaleno.
Nonostante sentissi da tempo la voglia di partire, inizialmente molti dubbi hanno invaso la mia testa, ma ad un certo punto capisci che è inutile negare a se stessi una sensazione e quindi decidi di partire semplicemente perché “è più forte di te”.
Credo che sia fondamentale che ciascuno di noi insegua sempre i propri sogni: inizialmente si può sentire soltanto una piccola scintilla ma, col passare del tempo, questa cresce sempre di più e non c’è cosa migliore che aprire gli occhi e trovarsi con i piedi immersi nella sabbia rossa e tanti bambini che sorridono intorno a te.
“Uomo bianco ricorda: abbiamo due orecchie ed una bocca per ascoltare di più e parlare di meno”
Lisa

Eleonora Galeotti

Eleonora Galeotti

Ho vissuto migliaia di occhi

Viaggio di condivisione del 2017

Era diverso tempo che sognavo di andare in Africa e quest’estate ho avuto l’opportunità di partire in missione insieme ad altri ragazzi per circa 21 giorni, sicuramente troppo pochi per potersi immergere appieno in una realtà cosi diversa dalla nostra ma comunque sufficienti a far comprendere i veri valori della vita. In mezzo a mille difficoltà, alla voglia, nei primi due o tre giorni, del proprio letto, alla voglia di usare un cellulare, postare foto o alla voglia di tirare uno sciacquone e lasciar scorrere l’acqua mentre ti lavi il viso o i denti, ho vissuto accanto a queste persone sempre sorridenti, amorevoli e pronte veramente a tutto per aiutarti. Ho vissuto migliaia di occhi, di cuori, di pensieri diversi tra i sorrisi gioiosi dei bambini mentre giocavano insieme a noi e ripetevano in continuazione “Dada Lina pipi” per chiederci delle caramelle, le facce speranzose delle donne e la voglia dei ragazzi di imparare qualche parola in italiano, contraccambiata dalla nostra di imparare qualcosa nella loro lingua, il swahili. Superati i primi giorni cominci ad ambientarti, a guardarti intorno, a scoprire persone e panorami a dir poco meravigliosi. Non vedi l’ora di cominciare una nuova giornata, cercando di “catturare” l’affetto e il calore che ti danno per portartelo dietro tutto il giorno scoprendo quella spensieratezza. Non vedi l’ora di abbracciare tutti i bambini e giocare con loro.
E’ un popolo apparentemente triste, non hanno acqua, cibo, giocattoli, eppure sorridono sempre, hanno quei sorrisi che riempiono di vivacità le tue giornate, quei sorrisi cosi semplici ma carichi di tutta la loro gioia di vivere. E non potete immaginare la mia felicità nel ritrovarmi a stringere nella mia mano quattro manine dei bambini mentre passeggiavamo. Quello che più rimane impresso sono gli occhi dei bambini, grandi, profondi e disarmanti: li guardi, li osservi e impari che si può vivere diversamente con meno cose e qualche sorriso in più.
Non è facile spiegare ciò che accade dentro di noi quando si vive un’esperienza simile, perché raccontarlo non è come viverlo in prima persona. Al mio ritorno ho capito che sicuramente ciò che ho ricevuto è molto di più di quanto ho dato, spero di poter tornare per rivivermi i colori, ritmi, usanze e tutte le persone incontrate che mi sono rimasti impressi e che mi ritornano in mente ogni sera prima di addormentarmi.
Ho apprezzato e condiviso tutto il possibile di quel popolo perché mi sono sentita accolta, parte di loro, cosi da provare un senso di libertà indescrivibile. Ho potuto rivalutare alcuni aspetti della mia vita e capire che povertà non è sinonimo di infelicità e che non c’è niente di scontato in quel che si ha. Consiglio a chiunque di trovare un po’ di tempo per poter intraprendere quest’esperienza che porterete nel cuore sicuramente.

Eleonora G.

Francesco Raspini

Francesco Raspini

Una avventura che ha prodotto tanti frutti

Viaggio di condivisione del 2017

Ed eccomi qua, dopo tanti anni col naso all’insù ad annusare l’aria per ritrovare i profumi di quella sera appena sceso dall’aereo, avvolto nel caldo tropicale, spaesato e un po’ impaurito, insieme ai miei compagni di avventura. Partiti un po’ per caso, un po’ per curiosità, ai piedi di quella scaletta d’aereo, muovevamo i primi passi in una avventura che non sapevamo avrebbe prodotto tanti frutti.
Così mentre mi giro su me stesso in cerca di quelle sensazioni, i ricordi si affollano alla mente, mentre trascino le mie valige stra-pesanti e ondeggianti fuori dalla hall.
Dopo tredici anni mi riaffaccio in questo paese meraviglioso con la curiosità di vedere cosa è successo al villaggio dove ho lasciato un pezzo di me stesso tanto tempo fa.
Ho una strana e leggera ansia, che non so spiegare, ma che lascio fluire dentro senza contrastarla. Sarà la paura di non trovare quello che mi aspetto, ma poi in fondo cosa mi aspetto.. non lo so. E sarà per questo che provo quella strana sensazione che chiamo ansia.
Comunque non c’è tempo per star troppo a pensare, è arrivato Eric ed è una gioia ritrovarlo e sentire che il tempo non ha scalfito il legame che era nato allora, in modo semplice e spontaneo, senza tante parole. Nessuno dei due ama troppo parlare, basta lo sguardo e un sorriso d’intesa.
Dopo i saluti e le immancabili complicazioni sul trasporto dei bagagli siamo già in viaggio.
Attraversiamo il paese da Dar giù verso il sud, tra paesaggi che via via si riaffacciano alla mente come familiari e rassicuranti. Già sento che questo sarà un viaggio diverso, forse meno operativo, ma ancora non so e non voglio sapere. Mi lascio portare senza chiedere troppo cosa farò.
E cosi dopo due giorni di viaggio arriviamo a Mkongo. Mi ritrovo ancora una volta ad affinare tutti i sensi per ritrovare quella atmosfera che avvolge quel pezzo di terra sperduta e d’incanto tutti i ricordi riaffiorano e la sensazione più forte è quella di sentirsi a casa.
Già a prima vista posso vedere le nuove costruzioni che negli anni son venute su anche grazie al nostro impegno, ma quell’aria che sembra immobilizzare il tempo mi colpisce ancora di più, mi attira a sé e mi immerge in quella realtà che sembra sempre sospesa sul trascorrere degli eventi.
Respiro a pieni polmoni e ad ogni respiro mi sento pervadere di più da quella atmosfera.
Ritrovo gli amici lasciati l’ultima volta, ne conosco altri e tutto è sempre cosi naturale che quasi mi sembra strano.
Cosi i giorni cominciano a scorrere tra il dispensario e le varie faccende da sbrigare per organizzare i lavori futuri che completeranno la struttura e nel frattempo si consolidano i rapporti, fra di noi cinque compagni di viaggio e con gli abitanti. E via via comincio a scoprire il senso di questo mio viaggio.
Sento che sta diventando un viaggio dell’anima. Un viaggio alla scoperta del valore dei rapporti che abbiamo costruito in tutti questi anni con quella gente.
Era il 2000 quando arrivammo in un villaggio sperduto e quasi irraggiungibile, dimenticato e apparentemente insignificante. Privo di qualsiasi minima risorsa se non quella necessaria appena per sopravvivere, dove toccavi con mano l’impossibilità di cambiare qualcosa perché troppo poveri, troppo soli, quasi inermi difronte ad un mondo lontano che più avanzava , più li lasciava indietro in balia di se stessi, inesorabilmente.
Istintivamente iniziammo a riparare quello che era rotto da anni.. qualche vetro alle finestre, qualche porta.. non c’erano nemmeno chiodi e martello. Nulla. E quando dico nulla è proprio nulla. Io con le mie valige di medicine mi misi al sevizio di una fila di gente interminabile che non vedeva un medico da anni, con le mie poche cose e conoscenze, ricordo davo tutto con una gioia dentro ricambiata dalla gratitudine che vedevo nei sorrisi di che veniva da me, anche se magari non potevo fare nulla per lui. Ma sempre venivo ringraziato con un sorriso. Ed ero pieno di riconoscenza per quella gente, gonfio di emozioni che non immaginavo poter contenere.
Dovevo finire in fondo al mondo per trovare una felicità cosi.
Scoprimmo io e i miei compagni di viaggio che oltre le cose materiali mancava la cosa più importante: il rapporto con qualcuno che li facesse sentire meno soli. Il senso di solitudine, la consapevolezza della distanza incolmabile tra loro e il resto mondo.
Cosi capimmo che se volevamo fare qualcosa di utile dovevamo muoverci su due fronti contemporaneamente: l’aiuto materiale e la costruzione di un rapporto umano fraterno.
Cosi in questi anni si è mossa l’Associazione, che non a caso si chiama “ Neema”, Anima.. si perché è l’anima che muove la mano e la indirizza nel verso giusto.
Questo pensavo dentro di me in quei giorni e mi rendevo conto di quanto grande è stata l’ intuizione.. sicuramente una Ispirazione dall’Alto che, se posso essere un po’ presuntuoso, siamo stati bravi ad ascoltare. Ognuno ha fatto la sua parte, anche da lontano. Chi più operativo, chi meno, ma non meno coinvolto.
Cosi ho passato il mio tempo in quelle settimane, facendo, ma soprattutto contemplando quello che era stato costruito negli anni e rendendomi conto di quanto importante fosse per quella splendida gente stare fisicamente con noi, condividere un pasto, un dialogo, un sorriso.
Non conta solo il dispensario e le costruzioni che son seguite, pur di importanza vitale ovviamente, ma basterebbe dare un valore al sorriso che è nato sulle labbra di un bambino o di un vecchio o di un donna, per capire che è valsa la pena di buttarsi in questa avventura.
E come ulteriore conseguenza del nostro impegno ho visto come questa impresa sta permettendo a quelle popolazioni di svilupparsi secondo i loro tempi e le loro aspettative. Il nostro lavoro è di supporto ad uno sviluppo autonomo e libero. Questa è vera cooperazione e un risposta, pur nel nostro piccolo, a molte domande che emergono prepotenti dai fatti di questi ultimi tempi in relazione ai flussi migratori.
Son tornato ancora una volta carico di gratitudine e con un bagaglio di esperienza che arricchisce la mia vita e spero, un po’, anche quella di chi leggerà queste righe, se sarò stato capace di trasmettere, almeno una piccola parte di quello che abbiamo vissuto nella terra delle nostre origini.

Francesco R.